Come faccio, sbaglio: Quando la paura più grande è quella di sbagliare

Una delle paure più diffuse nella società odierna è certamente quella di commettere errori e di doverne poi scontare pesanti conseguenze (personali, sociali, lavorative, ecc).

Come se dovessero attraversare un campo minato, queste persone sono sempre molto attente a dove mettono i piedi, magari utilizzando rituali di controllo preventivo o un certo perfezionismo per prevenire i loro possibili errori. In ogni caso, sentono di non avere mai quella totale sicurezza circa lo scoppiare o no della mina.

I rituali preventivi possono esprimersi con ripetuti controlli pre e post-operato, con richieste di valutazione e rassicurazione ad altre persone sul compito svolto, con un livello di attenzione e concentrazione decisamente elevato rispetto a quanto richiesto dalla prova in sé.

In altre parole, si ha molto spesso la sensazione che ogni sforzo compiuto per giungere a prevenire l’errore non sia mai sufficiente ed è facile assistere a frasi come “Tanto non basta mai“, “Come faccio, come sbaglio“, “Non va mai bene“, ecc. Addirittura, nelle forme più acute, è possibile riscontrare una sorta di auto-condanna “Sono io che sono sbagliata” o “Sono un fallimento“.

Questi scenari sono molto frequenti in tutti i contesti relazionali in cui l’errore viene puntualmente demonizzato e non accettato (lavorativi, educativi, familiari o di coppia). Un padre che non tollera mai l’errore di suo figlio o un datore di lavoro che impone standard di prestazioni molto elevate ai suoi dipendenti ha buone possibilità di promuovere un quadro di questo tipo, con sintomi quali tachicardia, frequenti dolori al collo o alla testa dovuti al costante stato di tensione, cefalea, respirazione alterata da sospiri, sudorazione e vampate di calore.

Soprattutto all’interno dei contesti familiari ed educativi, non lasciar spazio all’errore fino alla sua demonizzazione, significa far sviluppare al proprio figlio/alunno una scarsa capacità di giudizio, sugli altri così come su stesso. Non sono pochi i giovani-adulti che, ancora oggi, tendono ad avere un’estrema severità di giudizio personale, promuovendo un senso di colpa così profondo da non sentirsi mai adeguati o “giusti”.

Concedere ai propri ragazzi di sbagliare, stabilendo comunque delle regole, significa dar loro la possibilità di confrontarsi con se stessi e con gli altri.

Concedersi qualche errore nella propria giornata, permettersi di fare piuttosto male anche solo una piccolissima cosa, significa (ri)allenarci alla flessibilità, ristabilire il giusto peso delle cose e, soprattutto, promuovere l’insegnamento più grande: quello di imparare dai propri sbagli.

 

L’esperienza è il tipo di insegnante più difficile. Prima ti fa l’esame, poi ti spiega la lezione” O.Wilde

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