Gli ingredienti principali della persona infelice: cosa c’è dietro la tristezza cronica?

Pensieri negativi che attanagliano la mente, una certa costanza a rimuginare, il peso del senso di colpa e un’autostima quasi sempre sottoterra: cosa si cela dietro questo quadro?

Se non possiamo impedire a certi pensieri di farci visita, molto spesso, è soprattutto la valenza ed il significiato che noi stessi gli attribuiamo che fa la differenza. In base al significato che diamo agli eventi, ai nostri pensieri, alle nostre riflessioni, possiamo provare sicurezza o paura, responsabilità o indifferenza, entusiasmo o peso, ecc.

Quali atteggiamenti personali sono realmente in grado di mantenere ed alimentare la tristezza?

  • Avere un dialogo interiore in grado di sminuirci costantemente: Una sorta di sabotatore interno, volto a ridimensionare ogni nostra spinta emotiva e motivazionale. Si attiva ogni volta che proviamo a prendere il volo, addossandoci il peso dei nostri errori passati, delle nostre paure e incertezze;
  • Sviluppare la tendenza a vedere sempre e solo il lato negativo delle cose: Può essere una sensazione, fino ad una vera e propria convinzione, per la quale le cose potrebbero o andranno sicuramente male. Ci costringe dunque a premunirci e a non illuderci in nessun modo, cominciando a sollevare preoccupazioni immediate;
  • Avere dei riferimenti esterni con i quali paragonarsi e confrontarsi: Gli altri esistono solamente come termine di paragone e – se sollevati costantemente – finiscono per far perdere di vista il riferimento di sé stessi e dei propri obiettivi. Avere sempre e solo gli occhi sugli altri, fa smarrire la propria strada, portando disorientamento e sfiducia;
  • Colpevolizzare gli altri: Processo per il quale si trova sempre la responsabilità dei propri insuccessi negli altri, giustificando il proprio operato, ora per un motivo, ora per un altro. Non sono infrequenti i casi in cui la colpa ricade spesso sui genitori o sui familiari, utilizzati come unici colpevoli del proprio stato fallimentare. Tale atteggiamento viene spesso utilizzato per difendere le proprie responsabilità e, allo stesso tempo, nascondere ciò con cui si dovrebbe fare i conti: sè stessi;
  • Non perdonarsi niente: Caso quasi opposto al precedente, raggruppa tutte le situazioni in cui non riusciamo a perdonarci, a vivere con leggerezza i nostri errori e ripartire. Il successo vale zero, mentre l’insuccesso è percepito come imperdonabile. Nessuna gioia è mai tale da compensare la rabbia e la colpevolizzazione di noi stessi;
  • Avere sempre la paura di sbagliare: Non sentirsi mai sufficienti o abbastanza sicuri per poter fare. Possiamo ricorrere ad evitamenti, forme di controllo ripetute, atti scaramantici o estremi al fine di scongiurare ogni esito infausto. Ogni cosa è vissuta con allarme e tensione, finendo spesso per non farci godere nulla.

Molto spesso, non è la realtà a condizionare il nostro stato, ma la lettura che ne diamo. A volte, ci troviamo ad interpretare gli eventi quasi in modo automatico, in virtù delle nostre tendenze ed abitudini, senza renderci conto di cosa è realmente accaduto. Per l’ansioso, basta l’accensione di una piccola spia per attivarsi in modo eccessivo e disfunzionale, così come per l’impulsivo è sufficiente una piccola provocazione per prendere fuoco.

Riconoscere i propri automatismi mentali e comportamentali è spesso il primo passo per poter dare una svolta alla propria vita, per poter modificare le proprie sensazioni e percezioni: quelle che da troppo tempo ci costringono all’infelicità.

 

La mente è un mondo a sé, e da sola può rendere il paradiso un inferno e l’inferno un paradiso” J.Milton

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