Il Perfezionista Patologico: quando il tutto non è mai abbastanza.

Si può essere perfetti? Senza dubbio si può desiderare di esserlo ad ogni costo, magari per prevenire eventuali errori o “incidenti” di percorso, che obbligherebbero la persona a rimediare o, comunque, a fare i conti con la cosa.

Essere costantemente alla ricerca della perfezione ci fa sentire costantemente imperfetti, mai abbastanza a posto: ecco il vero paradosso di questa trappola della mente. La persona perfezionista ha spesso la sensazione che non è mai abbastanza, che occorre fare di più e meglio, anche quando non c’è un gran da fare. Queste persone vanno spesso di fretta, non amano perdere tempo e tendono ad essere piuttosto direttive.

Negli adulti e nei bambini è frequente assistere al prefigurarsi di grandi obbiettivi personali, scolastici o sportivi, al fine di impressionare gli altri, gratificarli, oppure per doversi giustificare da presunte colpe o responsabilità.

I principali sintomi del perfezionismo patologico sono:

  • Sensazione di fallimento o difetto in qualunque attività;
  • Procrastinare alcune attività per paura di non essere all’altezza o di non completarle egregiamente;
  • Sviluppare manie di controllo sulle proprie relazioni;
  • Essere ossessionati dalle regole, dagli schemi e dai copioni di comportamento;
  • Promuovere una programmazione millimetrica della giornata e delle attività;
  • Pretendere standard elevati dalle persone vicine.

Gli ambiti più colpiti dal perfezionismo sono solitamente la scuola o il lavoro, l’igiene personale e la salute, l’apparenza estetica, le relazioni interpersonali.

A livello cognitivo sono frequenti pensieri dicotomici (“bianco o nero”), pensieri catastrofici (tendenza a demonizzare ogni errore o evento accidentale) e pensieri doveristici (tendenza a imporsi determinati comportamenti).

Per quanto ognuno di noi sia consapevole che l’essere umano è imperfetto per natura, la società in cui viviamo ci impone spesso valori di benessere improntati sull’autoaffermazione e autorealizzazione professionale, sulla bellezza estetica, sulla competizione, sui risultati da raggiungere e sugli standard da mantenere.

Scartiamo le foto in cui appare un solo difetto, mentre diffondiamo solo quelle in cui la nostra immagine appare splendida agli occhi degli altri. Come scriveva Debord (2002), alimentiamo un circolo vizioso fatto di “spettacoli da guardare da lontano” privando ad altri la possibilità di conoscerci a fondo nella nostra autenticità.

Il perfezionismo a tutti i costi non è equivale a dare il meglio di sé, ma soprattutto non equivale ad essere il meglio di sé. La perfezione non ha niente a che vedere con la conquista e la crescita personale.

Ho voluto la perfezione e ho rovinato quello che andava bene” C.Monet

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